
“Fossa a nivi”: le neviere di San Piero e l'uso del ghiaccio nei secoli.
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- Categoria: La nostra storia
- Pubblicato Giovedì, 01 Dicembre 2022 20:23
- Scritto da Anna Macula
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Quest'anno l'inverno ci ha riservato giornate gelide, e ancora ne riserverà, abbiamo rivisto la neve ricoprire ogni angolo, monumento e strada del nostro paese come non succedeva da anni ormai. Ci siamo ritrovati ad iniziare l'anno nuovo immersi in un paesaggio inconsueto per noi sampietrini e siciliani, visto che la neve è caduta dappertutto. Secoli fa però la neve, oltre a suscitare emozione, gioia ed entusiasmo, aveva un'importanza notevole e attorno ad essa ruotava tutto un sistema economico. Prima dell'invenzione dei frigoriferi il ghiaccio veniva acquistato da alcuni rivenditori, soprattutto nel periodo estivo quando la richiesta di gelati e granite ma anche solo del ghiaccio per rinfrescarsi nelle calde giornate estive, era molto alta. Ed è in questo scenario che figuravano i nivaroli e le neviere.
Il territorio di San Piero, come sappiamo bene, è per la maggior parte montuoso, ogni montagna viene chiamata con dei nomi precisi e spesso indicativi delle attività che si svolgevano un tempo in quel determinato luogo oppure il toponimo era legato a fatti e personaggi che ancora oggi vengono ricordati dagli anziani, non sono quindi nomi casuali; e nel nostro caso a proposito della neve nelle contrade esiste un posto, sopra Sambuco, conosciuto con il nome di “fossa a nivi”. Il nome di questo luogo ci fa venire in mente un'attività del passato, ormai scomparsa e che, probabilmente nei secoli scorsi caratterizzava le nostre montagne: la raccolta della neve con annesso tutto il sistema di di produzione e commercializzazione del ghiaccio.
Ma come si svolgeva l'attività di un nivarolo e cos'erano le neviere?
La produzione di neve ghiacciata in Sicilia è attestata a partire dall'XI secolo. La tecnica utilizzata per produrre il ghiaccio consisteva nella raccolta della neve in una fossa in genere circolare, chiamata in dialetto “fossa” o “nivera”, scavata nel terreno o nella roccia. Dopo aver preparato la fossa, bisognava aspettare l’arrivo della neve, per poi darsi da fare per raccoglierla ed ammassarla nella neviera. La neve raccolta, fino a quando la neviera non si colmava, veniva coperta in maniera da evitare che il vento la portasse via, oppure che il sole o la pioggia la sciogliessero. Finché non si riempiva, occorreva approntare una copertura provvisoria, sicura ma anche facile da togliere. Quando la neviera era colma si aggiungeva uno strato di paglia che veniva coperta con fascine di frasche sistemate a gronda. Ogni quindici giorni circa i nivaroli, gli operai deputati a svolgere questo particolare lavoro, andavano a ispezionare minuziosamente lo stato della conserva, si andava a rivoltare la paglia, riportando in superficie quella inumidita dal contatto con la neve disponendola sopra quella asciutta. Inoltre bisognava osservare se vi fossero buche prodotte dalla neve liquefatta, in tal caso, aiutandosi con degli appositi strumenti si faceva in modo di otturare le fessure per impedire all'aria di entrare e sciogliere la neve.
Il lavoro del nivarolo consisteva quindi in vari piccoli interventi sia per la manutenzione della cavità designata a contenere la neve e sia per far in modo che la neve si conservasse più a lungo possibile, si trattava infatti di un ciclo annuale. Si iniziava in autunno con la pulitura delle fosse da terra e pietre, rivestendo il fondo di fieno, foglie e felci; a febbraio, dopo la caduta della neve di dicembre e gennaio, si provvedeva a rendere compatta la riserva di neve pestandola e battendola con pale.
Nei mesi estivi si tornava con una piccola squadra di operai per il prelievo del ghiaccio. Veniva scoperta la parte necessaria all'estrazione della quantità desiderata e si tagliava la massa gelata per mezzo di picconi, pale e cunei, ottenendo dei blocchi regolari. Avvolti dentro foglie di felci o castagno e tele di sacco, venivano collocati sul dorso dei muli (2 per carico) e condotti in paese, la mattina presto, per essere venduti.
Per quanto riguarda la fase della vendita dei blocchi di ghiaccio se ne occupava il gabelloto della neve, cioè l’imprenditore che aveva preso in affitto dal proprietario terriero o dall’ente ecclesiastico, al quale di solito appartenevano le neviere e finanziato le opere di conserva. L’unità di misura della neve era il carico, che consisteva in due blocchi di neve ghiacciata; ciascun blocco pesava un cantaro (unità di misura di massa e peso utilizzata a partire dal Medioevo) che corrispondeva a 100 o più rotoli, mediamente un carico di neve, alla consegna in montagna, poteva pesare tra i 140 e i 160 Kg. Durante il trasporto, a dorso di mulo, la protezione termica della neve era garantita attraverso una spessa impagliatura. La neve, per essere successivamente trasformata, richiedeva dei recipienti idonei a contenerla e sufficientemente ampi per accogliere i contenitori delle bevande da refrigerare, generalmente venivano usati contenitori in legno, vetro o metallo e in un ambiente poco curato si poteva utilizzare qualunque recipiente in grado di contenere i liquidi.
Con la neve ghiacciata si preparavano gelati, sorbetti e granite la cui origine è da ascrivere agli Arabi i quali erano soliti preparare delle bevande dolci utilizzando il ghiaccio dell'Etna. La granita, ad esempio, uno dei simboli della nostra Sicilia secondo gli studiosi deriva da una bevanda araba, lo sherbet (da cui deriva la parola sorbetto), a base di ghiaccio aromatizzato con succhi di frutta o acqua di rose. Durante il XVI secolo si apportò un notevole miglioramento alla ricetta dello sherbet, scoprendo di poter usare la neve mista a sale marino (per una legge fisica quest'ultimo abbassa la temperatura), e così la neve raccolta passò da ingrediente a refrigerante. La stessa modifica fu apportata per quanto riguarda la produzione del gelato. La miscela veniva poi conservata nel pozzetto, un tino di legno con all'interno un secchiello di zinco, che poteva essere girato in modo da impedire la formazione di cristalli di neve troppi grossi.
Nelle dimore signorili, in particolare nella stanza da pranzo, venivano usati i rinfrescatoi di diverse forme: per bottiglie, per coppe e per caraffe; altro oggetto utile per la refrigerazione era la cantimplora o bozza: un vaso di stagno o vetro utile per la refrigerazione.
Mentre le grandi città siciliane come Palermo, Catania e Messina si servivano rispettivamente delle grandi riserve di neve di Rocca Busambra, dell'Etna e del Monte Scuderi, la zona dei Nebrodi invece essendo una zona prevalentemente montuosa si può ben dire che quasi ogni paese disponesse delle proprie riserve di neve, dei propri “fossa a nivi”.
Questa fiorente attività, che contraddistinse nei secoli scorsi una parte della storia economica di Sicilia, si protrasse fino alla prima metà del '900 e ancora molti anziani ricordano come avveniva la produzione del ghiaccio.
(da "il Tocco" n. 6 - gennaio-febbraio 2015)